Chirurgia protesica: mininvasività sì o no?

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Il progresso tecnologico e le innovazioni nell’ambito dello strumentario e delle tecniche chirurgiche hanno consentito di rendere gli interventi sempre meno invasivi per il paziente, anche in ambito ortopedico. Ma cerchiamo di capire cosa si intende con il termine mininvasività negli interventi di chirurgia protesica.

Mininvasività in chirurgia protesica

Nell’ambito della chirurgia protesica il concetto di mininvasività non riguarda solo la dimensione dell’incisione chirurgica. È anche questo, ma non solo.

Esistono vari concetti di mininvasività: per quanto riguarda la chirurgia di protesica di anca o ginocchio, ad esempio, il termine mininvasività è certamente legato al risparmio dei tessuti molli, ossia la cute, i muscoli e i tendini, ma non possiamo e non dobbiamo trascurare il risparmio di tessuto osseo, che anzi, dal mio punto di vista, rappresenta l’aspetto forse più importante nella definizione della mininvasività di una procedura. 

L’aspettativa di vita della popolazione generale è infatti aumentata in modo consistente negli ultimi anni e se ragioniamo in termini di aumento della vita media e di impianti protesici effettuati in pazienti relativamente giovani (50-60 anni di età), dobbiamo necessariamente considerare l’eventualità che con l’andar del tempo questi soggetti possano sviluppare artrosi e confrontarci quindi con la possibilità di dover ricorrere a un intervento di chirurgia protesica in pazienti che hanno un’aspettativa di vita di altri 30-40 anni. 

È dunque evidente quanto sia importante cercare di risparmiare il più possibile il cosiddetto “bone stock”, ossia il patrimonio osseo di una persona, per garantire in futuro la presenza di una struttura di ancoraggio adeguata per un eventuale impianto protesico. 

Non solo una questione estetica

I vantaggi delle procedure mininvasive sono numerosi: al di là dell’aspetto estetico (incisioni di dimensioni ridotte producono cicatrici meno evidenti), vie d’accesso che consentono al chirurgo di raggiungere l’articolazione rispettando i tessuti del paziente si traducono in una riduzione del sanguinamento e del dolore postoperatorio, con la possibilità di iniziare una riabilitazione precoce e di recuperare in tempi più rapidi. 

Ciò che mi preme ribadire è che la mininvasività non è solo una questione estetica. 

Pensiamo alla sostituzione protesica dell’anca: la via d’accesso anteriore e quella postero-laterale hanno certamente un impatto visivo ed estetico diverso. 

La prima ha sicuramente ha un appeal maggiore per le donne, in virtù di una cicatrice piuttosto piccola, meno evidente e più facile da nascondere. Ma non tutte le pazienti sono candidabili a una via d’accesso anteriore, in relazione alla morfologia del collo femorale e a una serie di fattori che rendono più complicato e a rischio questo tipo di intervento. È quindi fondamentale valutare con attenzione chi è candidabile a una mininvasività in termini di chirurgia estetica. 

D’altro canto, la via postero-laterale con risparmio di alcuni tendini e muscoli, in particolare il piriforme, è una via d’accesso molto conservativa

che consente un’ampia esposizione, ma allo stesso tempo favorisce una rapida riabilitazione in quanto la muscolatura glutea non viene disinserita.

Mininvasività sì, ma non a tutti i costi 

Come già rammentato, mininvasività significa rispetto dei tessuti del paziente e risparmio osseo, ma purtroppo non tutti i pazienti sono candidabili a ricevere un impianto di piccole dimensioni con risparmio di osso perché sarebbero destinati al fallimento. 

Laddove le caratteristiche meccaniche dell’osso non sono idonee a un impianto di piccole dimensioni, proporre questo tipo di approccio sarebbe un errore strategico chirurgico che può portare a conseguenze anche gravi.

Bisogna dunque selezionare i pazienti in cui la mininvasività sia davvero utile e funzionale e valutare se il risultato premierà. 

La mia priorità nel percorso di cura che intraprendo con i miei pazienti è garantire loro la sicurezza dell’approccio chirurgico. La mia filosofia è lavorare con e per il paziente, e per questo la sicurezza deve sempre prevalere su qualsiasi altro aspetto, mininvasività inclusa. 

Ritengo quindi che non ci si debba accanire a cercare una mininvasività laddove le condizioni non lo consentano: mininvasività sì, ma non a tutti i costi. 


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