Ritorno allo sport dopo una protesi d’anca: il caso di Carlotta

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L’impianto di una protesi d’anca in giovane età non preclude il ritorno all’attività sportiva, agonistica e non. 

Ce lo dimostra una mia paziente di 34 anni, avvocato penalista, che ha subito un intervento di sostituzione protesica dell’anca e dopo soli due mesi si appresta a riprendere l’attività di arbitro di calcio a 5 a livello nazionale. 

Il caso clinico

Anche in giovane età può rendersi necessario l’impianto di una protesi d’anca per risolvere problematiche che determinano dolore e rigidità articolare tali da essere fortemente invalidanti.

È il caso di Carlotta, che soffriva di un’importante artrosi secondaria a un problema che si era sviluppato nell’età della crescita, una sofferenza del nucleo di accrescimento della testa del femore: il cosiddetto morbo di Perthes. Questa malattia aveva modificato la struttura anatomica della testa femorale, che negli anni si è completamente appiattita determinando un’alterazione strutturale artrosica dell’anca. 

Alla prima visita la paziente aveva un grado di mobilità in termini di rotazione esterna e flessione quasi azzerato, e questo ha messo in affaticamento anche la schiena che già presentava problematiche congenite di instabilità.

Una protesi su misura per lei

Si rendeva quindi necessario il ricorso all’impianto di una protesi d’anca. Ma non esiste una protesi adatta a tutti, ed è compito del chirurgo saper identificare di volta in volta il tipo di impianto e la tecnica chirurgica più adeguata, scegliendo la soluzione più adatta al singolo paziente, in base alla sua età, alla sua struttura anatomica e alle sue richieste funzionali. 

Carlotta ha sempre praticato molto sport: camminate, corsa, nuoto, bicicletta, sfide in montagna ad alta quota. E nelle giovani donne che, come lei, hanno una richiesta funzionale elevata e dopo l’intervento desiderano tornare a praticare attività sportiva, è opportuno avvalersi di tecniche chirurgiche e vie d’accesso mininvasive che consentono il risparmio delle strutture tendinee e muscolari periarticolari (ossia localizzate intorno all’articolazione). 

In questo caso particolare ho utilizzato la via postero-laterale con risparmio dei muscoli profondi e rotatori dell’anca e del piriforme, garantendo così una sensazione più naturale e una maggiore sensibilità all’anca, e accelerando i tempi di recupero. 

Inoltre, per assicurare maggior stabilità e prevenire il rischio di dislocazione o lussazione delle componenti protesiche durante l’attività sportiva (la lussazione è la fuoriuscita della testa del femore dalla cavità acetabolare in cui è alloggiata), ho scelto di impiantare un tipo di protesi in cui l’inserto tra testa e acetabolo è mobile e per questo viene definita appunto “protesi a doppia mobilità”.

La tendenza alla lussazione è maggiore nelle donne, in quanto il diametro della testa femorale è più piccolo rispetto agli uomini. La protesi a doppia mobilità è in grado di assicurare una stabilità articolare maggiore anche nelle donne che vogliono praticare sport.

Nel caso specifico di Carlotta vi era infine una criticità dettata dal fatto che la paziente, nonostante l’accorciamento della testa del femore, avesse un arto leggermente più lungo del controlaterale. Per ovviare a questo problema ho cercato una protesi che garantisse la possibilità di aumentare l’offset, cioè la distanza tra l’asse longitudinale del femore e il centro del bacino. Lateralizzando il femore ho messo in tensione il muscolo medio gluteo senza allungare ulteriormente l’arto, perché questo avrebbe affaticato la schiena.

L’esito dell’intervento

Carlotta è stata sottoposta a intervento nel mese di luglio, ha svolto un intenso programma di riabilitazione e alla visita di controllo a 2 mesi dall’operazione chirurgica le ho concesso l’autorizzazione a riprendere l’attività sportiva agonistica. Il risultato dell’intervento dal punto di vista clinico è stato molto buono, come testimoniano le sue parole e il racconto della sua esperienza. 

La testimonianza di Carlotta: “Con l’intervento è cambiata la mia quotidianità”

Nonostante la riabilitazione apposita effettuata per procrastinare l’intervento, avevo una mobilità limitatissima, soprattutto negli ultimi 9 mesi” – spiega Carlotta. 

“E avevo anche molto dolore, che mi aveva compromesso la quotidianità, perché avevo un’andatura zoppicante.”

“Con l’intervento è cambiata la mia quotidianità. Passata la prima settimana di degenza in ospedale è stato sempre un crescendo, grazie soprattutto anche alla riabilitazione. Tolti i punti e le stampelle, dopo 2 settimane dall’intervento, sono ritornata alla mia quotidianità. Già dopo un mese ero ampiamente in grado di deambulare e andavo a nuotare in quanto la cicatrice si era ben rimarginata.”

L’importanza della riabilitazione

Dopo un intervento di protesizzazione, la fisioterapia e la figura del fisioterapista giocano un ruolo importantissimo per il raggiungimento di un esito ottimale. Ecco le parole di Carlotta a questo proposito: “Avevo fatto un ciclo di fisioterapia anche prima dell’intervento presso il centro Salus lemen di Almenno San Bartolomeo, in provincia di Bergamo. Dopo l’operazione ho iniziato praticamente subito la fisioterapia, nella clinica dove sono stata operata. La sera stessa dell’intervento il medico mi ha messo in piedi e il giorno successivo ho iniziato la fisioterapia con doppia seduta, mattina e pomeriggio. 

Sono stata dimessa con una stampella, eliminata già dopo 2 settimane dall’intervento quando mi sono stati tolti i punti. Dopo le dimissioni ho iniziato a effettuare 3 sedute di fisioterapia alla settimana, sedute che faccio tuttora.

Dopo l’intervento sentivo una sorta di rigidità dell’arto, ma via via con la fisioterapia questo diventava sempre più mobile”.

Per un pieno e rapido recupero della funzionalità articolare dopo un intervento chirurgico di protesizzazione sono fondamentali la collaborazione con il fisioterapista e la costanza e la forza di volontà del paziente.

Il dottore in sala operatoria si assicura che la protesi sia ben posizionata e quindi poi è tutta una questione mentale. Bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo. Si fanno movimenti che non si facevano da mesi, magari da anni; il nostro corpo memorizza una serie di dinamiche e di movimenti che non fa perché potrebbero arrecare dolore. Per questo bisogna buttare il cuore oltre l’ostacolo”. 

L’impegno costante nel periodo di riabilitazione postoperatoria porta i suoi frutti e giorno dopo giorno i progressi si faranno sempre più evidenti e più vicino l’obiettivo di tornare alla propria quotidianità e, perché no, a svolgere attività sportiva.

Proprio com’è successo a Carlotta che, dopo soli due mesi dall’intervento, ha avuto il mio via libera a riprendere l’attività sportiva anche agonistica.


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